“La rivelazione, e si dice in senso stretto, è invece Madelyn Monti.
Nota come soprano di melodramma, qui sfoggia una serie di qualità che quasi nessun soprano, per quanto eccelso, possiede: “ironia” è un termine sintetico ma vago per definirle.
Premettiamo non essere per lei il concerto da camera un ripiego: ella possiede voce intensa, di bel timbro, vibrante e omogenea lungo la gamma. Immaginate una bellissima donna che fa ingresso vestita (non travestita) da soubrette anni ‘20, gonna con ampio spacco, abito nero retto da spalline e punta sul pubblico occhi che da profondi diventano maliziosi. Immaginatela sceneggiare, quasi più danzando che recitando, elegantissimamente, il testo che va cantando.
Ciò è difficilissimo. giacché la caratteristica di tutti i pezzi eseguiti, tutti non per nulla dovuti ad autori “illustri”, è nello straniamento fra un testo finto-Kitsch o caricatural-sentimentale, e una musica di apparenza seria, se non classica.
Ma essa mima, caricaturando a sua volta in modo più sottile, con goffaggini, enfasi, citazioni. Ciò vale per i cosiddetti Brettl-Lieder di Schönberg basati su di un fittissimo tessuto armonico e melodia che, non ne conoscessi il testo, ti sembrerebbero un Hugo Wolf da salotto guglielmino.
Così i Cabaret-Songs di Britten, su versi, talora troppo pretensiosi, di Auden. Così, naturalmente, per il (finto) meraviglioso Je te veux di Satie, un Valzer. È una lezione. La Monti non ricorre a nessun trucco “teatrale” per superare difficoltà vocali, canta impeccabilmente e con timbri seducenti; ma inserisce sempre un qualche sovrappiù, un accento troppo enfatico o troppo sentimentale, una strizzata d’occhi ideale durante l’espressione di un pathos torbido o focoso, a sottolineare il “distacco”, suo d’interprete, nostro per dovere storico, dal e del contesto musica-poesia.
Inutile dire che nelle tre lingue sfoggia una dizione da dama del gran mondo. Che si sia reincarnata Edith Sitwell?”
Paolo Isotta – Corriere della Sera